Genitori

Ieri, dopo aver litigato con i miei genitori, mi sono chiusa in camera minacciando di suicidarmi. Nessuno dei due è mai venuto a vedere come stavo e se ero ancora viva. Questo è quanto a loro importa di me.

Vorrei avere qualcuno con cui confidarmi, mi sento terribilmente sola. Tutti i miei amici sono sposati, a parte una alla quale non posso raccontare queste cose perché, pur essendo un’ottima amica, non mi capirebbe e mi criticherebbe, direbbe che è colpa mia che non vado a vivere da sola, come se fosse davvero possibile nelle mie condizioni di salute.

Vorrei tanto avere qualcuno con cui condividere la mia vita.

Catartico

La mia psicologa mi ha suggerito di scrivere quando mi sento sopraffatta dalla depressione, dice che sia catartico. Era da tanto che non mi sentivo così sola e disperata. Non ho più nessuno per cui credo che valga la pena vivere. Non ho un partner, non ho figli. Fino a ieri al piano di sotto viveva una partente con i suoi tre bambini, che mi hanno sempre chiamata zia e per i quali sono stata una seconda mamma. Loro erano letteralmente la mia ragione di vita. Li ho sempre amati come se fossero figli miei. Quando volevo uccidermi mi tratteneva il pensiero di loro che sarebbero stati svegliati dalle sirene dell’ambulanza.

Ora si sono trasferiti, e per il rapporto che ho con la loro famiglia non potrò né vederli né sentirli. E io non so più per chi vivere. Sto male fisicamente e mentalmente, lotto da tutta la vita contro la fibromialgia che mi provoca dolori atroci, e contro la depressione che non fa altro che dire al mio cervello che sarebbe facilissimo far terminare tutta questa sofferenza in 5 minuti. E io penso che sia vero.

Non mi sono mai sentita amata dalla mia famiglia, sono sola, tutti i miei amici sono sposati quindi li vedo pochissimo. Non ho una buona ragione per aprire gli occhi la mattina, non ho qualcuno da cui tornare a casa dopo il lavoro, non ho qualcuno con cui condividere quello che penso, a cui raccontare le piccole cose. Non so se stavolta ce la farò.

Sono tornata

Non scrivo sul blog da tanto tempo, sono successe tante cose. La più travolgente è stata finalmente avere avuto una diagnosi. I miei dolori atroci e continui, la stanchezza che mi opprime, i disturbi del sonno e i vuoti di memoria non sono una serie di problemi scollegati tra loro e soprattutto, non sono solo nella mia mente. L’ho sempre saputo e una delle cose che mi ha fatto soffrire di più, per tutta la vita, uno dei motivi che mi hanno portato ad ammalarmi di depressione, è stato il fatto di non essere creduta, anche e soprattutto dai medici. Il fatto che mi abbiano sempre detto che era solo ansia. Lo dicevano anche a mia nonna, non le credevano, il medico per anni le ha dato benzodiazepine quando sarebbe bastato un esame del sangue o semplicemente appoggiare la mano sulla sua pancia per sentire che aveva un tumore grande come un pompelmo.
Solo che io non ho il cancro, ho la fibromialgia. Malattia poco conosciuta e, attualmente, incurabile. Se da una parte è stato un sollievo sapere cos’ho, sapere che avevo ragione, smettere di andare da un medico all’altro cercando una soluzione che non esiste, dall’altra non è stato facile accettare questa diagnosi che corrisponde ad una condanna.
Ho studiato tanto per conoscere la mia nemica. Faccio parte di un gruppo dove ci scambiamo consigli e ci diamo sostegno a vicenda, un gruppo stupendo che mi fa sentire capita e meno sola. Un gruppo però dove, inevitabilmente, si parla solo di fibromialgia.
Mi è tornata la voglia di scrivere, di raccontarmi, di portare la mia esperienza ad altri, che senza saperlo stanno combattendo la mia stessa guerra, per farli sentire meno soli, meno incompresi. Ora non è più solo odioladepressione, è anche lafibromialgiaèunamerda.

Voto

Non preoccupatevi, non parlerò di politica. Ieri sera ho lavato i capelli, e mi sono resa conto di quanto siano belli: sono lunghi fino a metà schiena, di un colore castano chiaro caldo, sono lisci senza bisogno della piastra, morbidi senza bisogno del balsamo (bastano 3-4 gocce di olio di argan), leggeri, soffici e folti perché uso solo prodotti superecobio e ho un’alimentazione sana. Non ho nemmeno le doppie punte. Praticamente chiaraferragnispostati.
Ho sempre desiderato capelli lunghi, da sirena, fin da bambina. Ora li ho come li ho sempre voluti, e non riesco ad immaginarmi con i capelli corti, sono una delle poche cose del mio aspetto fisico che mi fanno sentire davvero bella.
Eppure sono disposta a rinunciarvi. E’ qualcosa più di una decisione, qualcosa che mi costa molto: ho fatto un voto. Se guarirò dal dolore cronico farò una lunga treccia e li taglierò alla base della nuca, li metterò in una busta gialla e li invierò ad un’associazione di beneficenza che realizza parrucche per le donne che hanno perso i capelli a causa della chemioterapia.

Il giorno dopo

Pensavo di aver superato il momento difficile, invece la mattina seguente, appena sveglia, inizio a piangere, non più sommessamente, ma singhiozzando con i lacrimoni. Qualsiasi tentativo di smettere di piangere aveva il risultato opposto, e intanto la disperazione continuava a crescere, avvolgendomi in una spirale nera e buia.
Ho chiamato lo psichiatra, e piangendo gli ho detto che non volevo iniziare la nuova cura, che tanto non sarebbe servita a niente, che la dottoressa aveva detto che avrebbe potuto farmi peggiorare la depressione, che ero stanca di prendere medicine, che al massimo sarebbe servita per l’allodinia e non per gli altri dolori che sono più forti… Che ero disperata e che come unica soluzione vedevo quella di farla finita, perché non ce la facevo più a stare male.
Lui anche stavolta è stato gentile, ha cercato di farmi capire che stavo attraversando un momento di sconforto che mi faceva vedere tutto nero, ma che la realtà oggettiva era diversa da come la descrivevo, che secondo lui il nuovo farmaco avrebbe potuto aiutarmi anche per il dolore neuropatico e non solo per l’allodinia… Mi ha detto che lui sarebbe stato assente per due giorni, che io mi dessi il tempo di pensarci e calmarmi, che lo chiamassi al suo ritorno.
Ripensandoci dopo qualche giorno mi sono resa conto di quanto la mia reazione fosse stata esagerata, una parte di me si è vergognata e sentita in colpa, ma cerco di pensare al fatto che ero proprio disperata, e che non è colpa mia ma della mia depressionedimerda, che lo psichiatra non mi ha detto che non era il caso di agitarsi per così poco ma ha preso sul serio le mie parole, mi ha riconosciuto il diritto di essere sfinita e disperata come se fosse una cosa più che legittima. Non mi ha criticata, ha accolto il mio dolore, ha cercato di riportare il mio pensiero ad un livello razionale. Mi ha aiutata nel modo in cui avevo bisogno di essere aiutata.

Non è mai solo una visita

Come dice la mia psicologa, per me una visita non è mai solo una visita. Per tutto il bagaglio emotivo che mi porto dietro, fatto di speranze, illusioni, frustrazioni, delusioni… Perché, anche se cerco di non farlo, ogni volta che devo fare una visita mi creo delle aspettative, penso quello che potrei fare se stessi meglio.
Anche per la visita antalgica è andata così. Mi sembrava di averla affrontata serenamente, anche perché ero accompagnata da una cara amica infermiera che aveva già esposto il mio caso alla dottoressa (in poche parole ero “raccomandata”), la visita è andata bene, la dottoressa gentile e disponibile, mi ha proposto delle terapie e spiegato cosa posso aspettarmi realisticamente.
Tutto bene, quindi? Quasi.
Perché la visita mi ha comunque prostrata al punto che quando sono rientrata dall’ospedale ho pranzato e sono andata a letto, e ho dormito più di un’ora di un sonno profondo. Ero sfinita.
Quando mi sveglio vado dal mio medico di base per farmi prescrivere il nuovo farmaco per il dolore cronico, come sempre devo prima parlare con la segretaria, farle leggere il referto della dottoressa di terapia antalgica, spiegarle a voce (davanti a tutti in sala d’aspetto, evviva la privacy) che devo parlare con il medico perché la dottoressa non ha scritto il dosaggio dato che si partirà da uno basso per poi aumentare. Rispiegarle tutto perché non ha capito e comunque è decisa a non farmi parlare con il mio medico, nemmeno 2 minuti tra una visita e l’altra. Mi tratta come se fossi un testimone di Geova o uno di quei poveri disgraziati che ti chiamano dal call center mentre stai cenando per proporti una nuova tariffa per il telefono.
Aspetto pazientemente, lei parla con il medico, torna fuori con la prescrizione delle medicine sbagliate, quelle che prendo già, dicendo che per ora le altre non mi servono. Allibita le chiedo di mostrarmi in che punto del referto di terapia antalgica abbia letto questa cosa e lei si impapera e non sa cosa rispondermi. Io riesco a mantenere un’incredibile calma e le dico che a questo punto dovrò fare a meno di prendere le medicine che mi ha ordinato la specialista. Lei vorrebbe farmi aspettare ancora, tornare LEI a parlare con il medico per spiegargli meglio la situazione, e poi farmi fare le ricette. Dato che mi aveva detto che il medico era occupato (solo per parlare con me, per parlare con lei invece ha tempo) e che avrei dovuto prendere appuntamento, le ho detto che non serviva che disturbasse il medico se lui era occupato, e che semplicemente non avrei iniziato la cura che mi era stata prescritta. ECCHECAZZO!
L’ennesimo sopruso della segretaria, che non risparmia prepotenza, arroganza e cattiveria gratuita, stavolta con il benestare del mio medico, al quale sarebbe bastato dirle di farmi entrare un momento. Che situazione assurda… Scese le scale ho iniziato a tremare e a piangere per la rabbia, ho chiamato lo psichiatra, gli ho spiegato in due parole (e probabilmente senza farmi capire visto che ero sconvolta) il mio problema, ha sentito che ero molto agitata e ha accettato di vedermi subito. In ambulatorio, piangendo ancora di più, gli ho spiegato meglio cos’era successo.
Lui è stato davvero gentile, come non era da tanto tempo, mi ha fatto la ricetta per una scatola del medicinale nuovo (essendo anche un antidepressivo ha potuto prescrivermelo lui) dicendomi però che era giusto che, visto che il dosaggio andava aumentato gradualmente (e in base a come reagisce il mio organismo), fosse il mio medico di base a seguirmi in questo passaggio, e che se era necessario lo avrebbe chiamato lui, spiegandogli la situazione. Il fatto che si sia preso cura di me in un momento di fragilità così grande mi ha confortata molto, ma ho continuato a piangere sommessamente per tutto il resto del pomeriggio per l’assurda prepotenza della quale ero stata vittima. Quando sono andata a letto mi sembrava di essermi calmata.

n. 5

L’altro giorno sono stata ad una visita all’ambulatorio di terapia antalgica n. 5. Una cosa che mi è piaciuta subito, entrando nello studio della dottoressa, è che c’era un cartello con scritto IL DOLORE NON SI SOPPORTA. SI CURA.
Ha valutato la mia situazione, mi ha ascoltata (io ho cercato di essere breve, tanto le informazioni essenziali le aveva già lette nelle relazioni delle visite precedenti), mi ha visitata. Ha detto che, anche se lo scopo è quello di eliminare gli antidolorifici, per ora non posso toglierli, dato che sto per ricominciare a fare fisioterapia e che anche le terapie che mi farà lei (infiltrazioni nei punti trigger) all’inizio mi faranno stare peggio, ma dovrebbero far diminiure le contratture e facilitare il lavoro della fisioterapista. Non mi ha fatto la solita promessa “se vieni da me in due mesi starai bene, ti sarà passato tutto, potrai fare una vita normale”, è stata realista, la mia condizione non è facile e ci vorrà tempo, ma soprattutto qualcuno che sia disposto a seguirmi. Ai farmaci che assumo già mi ha detto di aggiungerne un altro, che viene usato anche come antidepressivo (oltre che come anticonvulsivante). Mi ha un po’ spaventata perché ha detto che potrebbe farmi peggiorare la depressione, comunque nella lettera da consegnare al medico di base ha fatto riferimento solo al principio attivo e non al dosaggio, dovrà (giustamente) essere lui a seguirmi iniziando con la dose più bassa e aumentando gradualmente fino alla dose normale.

#MeToo

Anch’io sono stata vittima di molestie sessuali, per anni. Anche io sul posto di lavoro, anche io non ho denunciato. Per paura, per vergona, perché mi sentivo in colpa, perché avrei perso il lavoro. Paradossalmente non perché non avessi nessuno che poteva difendermi, ma per il motivo opposto: se avessi raccontato tutto, quello che all’epoca era il mio ragazzo e che è l’uomo più buono del mondo di sicuro sarebbe andato a spaccargli le gambe con una mazza da baseball. I miei fratelli invece (senza sapere che mi stava succedendo) mi hanno detto, più di una volta, che se qualcuno osava toccarmi lo avrebbero ammazzato. Che loro non avrebbero fatto lo stesso errore di Sonny, che nel film “Il padrino” la prima volta si limita a pestare il marito di sua sorella che la picchiava.
L’idea che i miei fratelli e il mio ragazzo finissero in prigione mi terrorizzava.
E poi chi mi avrebbe creduto? Non avevo prove. Sicuramente qualcuno mi avrebbe detto che me l’ero cercata, che ero stata io a provocarlo, lo hanno detto anche di una delle mie migliori amiche quando è stata violentata, ancora minorenne. Mi ha sempre detto che il processo è stato peggio dello stupro, ti costringono a rivivere all’infinito quei terribili momenti, mettono in dubbio tutto quello che dici come se fossi tu la colpevole. A distanza di anni sento ancora la sua mano sotto alla mia maglietta.

Kefir

Anche stavolta devo ringraziare il mio medico preferito, il dr. Oz, per avermi fatto scoprire i benefici del kefir. E’ una bevanda tipica della Turchia (mi sembra), fatta con latte fermentato. E’ moooolto diversa dallo yogurt, ha un sacco di batteri buoni in più,e più resistenti, e di solito si trova senza aggiunto un quintale di zucchero come lo yogurt normale. In teoria può berla anche chi è intollerante al lattosio, perché ne contiene una quantità trascurabile.
Io per diversi motivi ho deciso di non bere il kefir di latte, ma di autoprodurmi il kefir d’acqua. E’ facilissimo da fare: basta mescolare acqua, fermenti, zucchero e limone, lasciar riposare dalle 24 alle 48 ore, e … basta! Oltre a essere facilissimo da produrre è anche molto economico e, contrariamente alle cose che di solito fanno bene, è anche buono. Diventa leggermente frizzante, dolce ma non troppo (lo zucchero viene digerito dai batteri buoni, ha anche poche calorie) volendo si può aromatizzare aggiungendo altra frutta o spezie, ma io lo preferisco al naturale.
Dopo pochissimi giorni il mio pancino è tornato ad essere felice come non mi capitava da anni! Infatti purtroppo sia gli antidepressivi che gli oppiacei provocano costipazione (maledetti).
Sono davvero entusiasta, per fortuna che c’è il dr. Oz perché a me (e probabilmente anche a voi) nessun medico l’ha mai consigliato, nonostante i benefici non siano solo quelli che vi ho esposto, e probabilmente non lo conoscono nemmeno.
Per una volta faccio un’eccezione e faccio pubblicità: io uso lo starter per kefir d’acqua di Bionova, lo compro al Naturasì, e riesco a fare anche più rifermentazioni di quante ne garantiscano loro. E’ un’azienda seria e se avete domande (anche stupide come quelle che gli facevo io) vi rispondono velocemente e gentilmente.
Sempre al Naturasì, e probabilmente in tanti altri supermercati, trovate anche il kefir di latte, di questa e di altre marche, e se cercate su internet c’è anche chi vende o addirittura regala i granuli di kefir per produrselo da soli.